Commissario Politico.

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Dizionario di storia moderna e contemporanea

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COMMISSARIO POLITICO

Agente governativo russo (poi sovietico) distaccato presso i comandi militari col compito di garantirne la lealtà. Tale funzione, istituita dal governo provvisorio, sorto dopo la rivoluzione di febbraio (1917), fu fatta propria dai bolscevichi. Nella formazione del nuovo esercito proletario la presenza di specialisti militari di origine zarista rappresentò una inelusibile necessità, ma rendeva obbligatorio il loro controllo politico. Dopo la guerra civile russa la stabilizzazione del nuovo stato portò a una più diretta influenza del partito sull'esercito. Tuttavia le esigenze di modernizzazione spinsero nel senso di un superamento del sistema di comando "duplice", cioè l'affiancamento al comandante militare del commissario politico. Parimenti la crescente devozione al regime di numerosi alti ufficiali contribuì a relegare i commissari a meri compiti di indottrinamento delle truppe. Le epurazioni del 1937 in Unione sovietica ne rilanciarono il ruolo. I commissari politici vennero creati pure nelle Brigate internazionali in Spagna. Indice della fiducia del potere politico nelle gerarchie militari, l'importanza della figura del commissario conobbe poi continue oscillazioni. Lo scoppio del conflitto con la Germania fece definitivamente prevalere le ragioni del comando unico verso il 1942. Tale figura fu creata anche nelle formazioni partigiane italiane e in quelle organizzate dai comunisti nella resistenza antinazifascista di altri paesi.

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RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO

(1917). Rivoluzione politica scoppiata in Russia nel febbraio-marzo 1917. Determinò la caduta del regime zarista e aprì la strada alla rivoluzione d'ottobre dello stesso anno. Dopo centinaia di migliaia di morti e una situazione economica interna disastrosa, a seguito dell'ennesima offensiva militare fallita fra le tante compiute nei tre anni della Prima guerra mondiale contro la Germania, a Pietrogrado lo scontento popolare sfociò in dure dimostrazioni contro il governo, nel corso delle quali interi reparti dell'esercito disertarono e passarono dalla parte dei rivoltosi. Questa situazione portò alla formazione di un Comitato esecutivo provvisorio e, pochi giorni dopo, all'abdicazione dello zar Nicola II, con la formazione del primo governo provvisorio, formato dai partiti moderati, sotto la guida del principe L'vov. Da lì prese il via un conflitto di potere, in particolare per il controllo sulle forze armate, tra il nuovo governo e i soviet degli operai e dei soldati di Pietrogrado, che con un decreto avevano deciso la costituzione di comitati elettivi nell'esercito.

EPURAZIONI STALINIANE

(o purghe, 1934-1938). Applicazione della lotta di classe all'interno del Partito comunista teorizzata da Stalin. In Urss portarono all'espulsione di centinaia di migliaia di militanti comunisti e spesso furono l'anticamera della loro eliminazione fisica. Vedi anche Terrore staliniano.

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RIVOLUZIONE D'OTTOBRE

(7 novembre 1917). Presa del potere da parte dei bolscevichi in Russia, così chiamata perché realizzata tra il 25 e il 26 ottobre secondo il calendario giuliano, allora in vigore in tutti i territori già facenti parte dell'impero zarista.

TUTTO IL POTERE AI SOVIET. Essa costituì la conclusione del percorso di profonda trasformazione dello stato e del potere iniziato con la rivoluzione di febbraio di quello stesso anno. I governi provvisori nel frattempo succedutisi non erano riusciti a risolvere i gravi problemi della popolazione (in primo luogo le conseguenze negative della guerra sui livelli materiali di vita) e a interrompere il progressivo deteriorarsi dell'autorità politica e della credibilità delle istituzioni. I bolscevichi, sotto la direzione di Lenin, rientrato in marzo dall'esilio, divennero in pochi mesi la forza politica attorno cui si coagulò lo scontento, aumentando progressivamente la propria forza e influenza tra i settori popolari delle principali città e negli organismi di rappresentanza di recente formazione (vedi soviet). Con un programma sintetizzato nello slogan "tutto il potere ai soviet" (in particolare: nazionalizzazione delle banche e della terra, fine immediata della guerra in corso dal 1914 e costituzione di una repubblica dei soviet), i bolscevichi si presentarono come la componente più compatta e decisa tra i partiti russi, i soli a essere dotati di una precisa strategia politica. Queste caratteristiche, elementi caratterizzanti del leninismo, rivelarono il loro peso durante la crisi precipitata dall'estate del 1917. Dopo la fallita offensiva russa di giugno sul fronte tedesco, i bolscevichi decisero di passare all'azione dando vita a violente manifestazioni di piazza che a Pietrogrado furono duramente represse dall'intervento dell'esercito (3-4 luglio). Lenin dovette fuggire in Finlandia, mentre altri importanti dirigenti bolscevichi, tra cui Trockij e Kamenev, venivano arrestati. Pur in condizioni di semiclandestinità i bolscevichi incrementarono la propria iniziativa politica d'agitazione e propaganda; in particolare essi furono molto attivi tra gli operai dei grandi complessi industriali e i soldati delle retrovie, arrivando ad assumere il controllo dei "soviet dei soldati e degli operai" a Pietrogrado e Mosca; in tal modo la dualità di potere presente in Russia dalla rivoluzione di febbraio (soviet da un lato e governo provvisorio dall'altro) assumeva le caratteristiche dello scontro aperto. Il tentato colpo di stato di settembre del generale L.G. Kornilov, che tentò di occupare Pietrogrado per restaurare il regime zarista, determinò una polarizzazione ancor maggiore delle posizioni. Rientrato Lenin dalla Finlandia e liberati i dirigenti arrestati, i bolscevichi decisero di prepararsi alla presa del potere attraverso un'insurrezione armata. Questa decisione venne presa dal Comitato centrale del partito il 10 ottobre nonostante l'opposizione di influenti dirigenti bolscevichi come Kamenev e Zinov'ev. Nei giorni successivi, mentre continuavano scioperi e manifestazioni, il piano insurrezionale venne attuato a partire dalla costituzione del Comitato militare rivoluzionario del soviet di Pietrogrado (16 ottobre). L'organismo, nato per difendere la rivoluzione russa dalla ventilata possibilità di un'offensiva tedesca sulla capitale, permise ai bolscevichi di assumere il controllo militare delle truppe di stanza in città. Determinati a prendere il potere prima dell'inizio del Congresso panrusso dei soviet (previsto per il 25 ottobre), i bolscevichi diedero il via all'insurrezione il 24 ottobre.

I DECRETI SULLA PACE E SULLA TERRA. In due sole giornate, soprattutto grazie all'apporto dei marinai della flotta della base di Kronstadt e delle "guardie rosse" (soldati e operai armati dal soviet di Pietrogrado), il potere passava nelle mani dei bolscevichi in modo quasi incruento: la sera del 25 ottobre il governo Kerenskij veniva destituito e i suoi ministri arrestati durante l'assalto al Palazzo d'inverno (un avvenimento che divenne il momento simbolico dell'insurrezione). Contemporaneamente si apriva il Congresso panrusso dei soviet: mentre i menscevichi abbandonavano l'aula in segno di protesta contro l'insurrezione, la maggioranza dei delegati (bolscevichi e socialrivoluzionari di sinistra) le forniva l'avallo "legale". Il congresso si proclamava legittimo governo del paese e approvava i decreti sulla pace e sulla terra che costituivano i primi atti formali del nuovo potere sovietico. La vittoria politica, prima che militare, dei bolscevichi veniva poi confermata dalla decisione di delegare il consolidamento del nuovo potere al Consiglio dei commissari del popolo, organismo esecutivo di cui Lenin venne nominato presidente e che era composto principalmente da esponenti bolscevichi. Contro il nuovo potere l'ex primo ministro Kerenskij tentò un'offensiva con truppe rimastegli fedeli, ma venne sconfitto il 30 ottobre nella battaglia di Pulkovo. Nel resto del paese la rivoluzione incontrò una resistenza maggiore che nella capitale. A Mosca i bolscevichi assunsero il controllo della situazione solo il 2 novembre, dopo che il 28 ottobre la città era stata teatro di disordini che avevano provocato numerose vittime. Nelle altre città della Russia e nei principali distretti industriali il potere sovietico si consolidò in tempi e modi diversi: mentre nella gran parte del paese entro la fine del 1917 i nuovi organismi di potere si erano ormai formalmente consolidati, in Ucraina, nell'area del Don e nel Caucaso la rivoluzione trovava una più consistente opposizione che si protrasse, facendo sentire le proprie conseguenze in tutta la Russia, nei tre anni seguenti con la guerra civile russa. L'insurrezione non portò a un'immediata concentrazione del potere nelle mani dei bolscevichi. I socialrivoluzionari di sinistra presero parte attiva alle prime decisioni e ai primi organismi di governo, mentre menscevichi e socialrivoluzionari di destra iniziarono una violenta lotta al nuovo regime. Tuttavia, mentre le opposizioni erano destinate a essere presto messe fuorilegge sotto l'incalzare della guerra civile e dell'emergenza alimentare, il ruolo egemonico assunto dal partito di Lenin nella conquista del potere e le stesse modalità attraverso cui essa era avvenuta costituirono un forte condizionamento per il futuro. L'egemonia bolscevica (politica e militare) sui nuovi organismi di potere, unita alla situazione d'emergenza di un paese ridotto alla fame da anni di guerra, portarono presto a un accentramento del potere e segnarono fin dall'inizio la storia del nascente stato sovietico.

G. Polo

STALIN

(Iozif Vissarionoviec Dezugaesvili, Gari 1879 - Mosca 1953). Politico sovietico. Da giovane frequentò il seminario teologico di Tbilisi, da cui venne espulso nel 1899 per aver partecipato all'attività di un gruppo socialista georgiano. Entrato nel Partito operaio socialdemocratico russo, si schierò con la frazione dell'"Iskra", guidata da Lenin. Nel 1901 venne eletto membro del comitato socialdemocratico clandestino a Tbilisi e successivamente dirigente dell'intero Caucaso. Arrestato nell'aprile 1902 e deportato in Siberia, fuggì dopo qualche mese. Dopo la rottura del partito tra bolscevichi e menscevichi si schierò con i primi. Durante la rivoluzione del 1905 non ebbe un ruolo importante, ma organizzò rapine ed espropri per raccogliere denaro per il partito. Partecipò ai congressi bolscevichi di Stoccolma (1906) e Londra (1907) e divenne leader del partito a Baku. Più volte arrestato e deportato, riuscì sempre a fuggire. Nel 1912 entrò a far parte del comitato centrale del partito bolscevico e l'anno successivo divenne direttore della "Pravda". Si recò poi in Austria dove scrisse la sua unica opera di rilievo teorico, Il marxismo e la questione nazionale, a favore dell'autodeterminazione dei popoli oppressi. Tornato in Russia, fu arrestato ed esiliato in Siberia dove rimase fino allo scoppio della rivoluzione nel febbraio 1917. Tra il febbraio e l'ottobre fu nuovamente condirettore della "Pravda" ed ebbe una posizione rilevante nell'organizzazione del VI congresso del partito. Durante l'insurrezione di ottobre non ebbe alcun ruolo militare. Nel primo governo bolscevico ricoprì la carica di commissario alle nazionalità, che tenne per cinque anni. Durante la guerra civile organizzò la difesa di Tsaritsyn e fu commissario politico della cavalleria di Budënnij. Alla fine della guerra civile favorì l'invasione della Georgia. Nel 1919 fu nominato commissario all'Ispettorato operaio e contadino, un organismo di controllo e supervisione della nuova amministrazione statale sovietica. Nel 1922 venne eletto segretario generale del Pcus, una carica organizzativa che permetteva di controllare l'intero apparato del partito e, attraverso di esso, del governo. Durante la malattia di Lenin formò un "triumvirato" con Zinov'ev e Kamenev per contrastare Lev Trockij col quale era già entrato in contrasto durante la guerra civile. Dopo la morte di Lenin il "triumvirato" tenne nascosto il testamento del capo del partito in cui si suggeriva di rimuovere Stalin dalla carica di segretario del Pcus, in precedenza meramente esecutiva ma cui egli riuscì a conferire un immenso potere. Nel 1924 espose la teoria del "socialismo in un paese solo" che segnò l'abbandono dell'internazionalismo a favore di un nazionalismo che crebbe negli anni. Tra il 1925 e il 1927 sconfisse l'opposizione di Trockij cui si erano uniti Zinov'ev e Kamenev, espellendoli dal partito. Nel 1928-1929 fu la volta del gruppo guidato da Bucharin, Tomskij, Rikov. Nel 1929 dette il via all'industrializzazione forzata dell'Urss e alla collettivizzazione forzata delle campagne. A partire dal 1936 organizzò le grandi epurazioni attraverso cui eliminò completamente la vecchia guardia bolscevica. Dette sempre maggiori poteri alla polizia politica, creando un sistema dittatoriale (vedi stalinismo) e imprigionando milioni di persone nel Gulag. Durante la Seconda guerra mondiale riuscì a coagulare la volontà di resistenza dei popoli sovietici anche facendo appello alla "grande guerra patriottica" e fu, assieme a W. Churchill e F.D. Roosevelt, uno dei "tre grandi" che sconfissero il nazismo. Dopo la guerra impose il sistema socialista ai paesi dell'Europa orientale, accentuando il carattere dispotico del suo dominio. Morì per un attacco di emorragia cerebrale.

M. Flores

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SOVIET

(consiglio) Organismo elettivo russo, cellula base della democrazia di massa su cui fu originariamente organizzata la struttura statale dell'Urss. Il primo soviet nacque a Pietroburgo durante la rivoluzione del 1905. Risorti con la rivoluzione del febbraio 1917, i consigli degli operai, soldati e contadini si svilupparono come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico delle correnti socialiste. I bolscevichi, in particolare, fondarono la loro strategia insurrezionale sull'egemonia dei soviet come strumenti di potere alternativo sia all'apparato burocratico zarista che ai governi provvisori borghesi (Tutto il potere ai soviet fu la parola d'ordine di Lenin). Allo scoppio della rivoluzione d'ottobre (1917) il II Congresso panrusso dei soviet seguì le indicazioni dei bolscevichi proclamandosi depositario del potere statale e approvando i decreti sulla pace e sulla terra redatti da Lenin. Da allora i soviet divennero la base del nuovo ordinamento statale, anche se progressivamente svuotati d'autonomia decisionale e sempre più direttamente condizionati dalle decisioni del Partito comunista. L'ordinamento sovietico si costituì in forma piramidale partendo dai soviet dei villaggi e delle città (eletti da tutti i cittadini), passando per quelli delle repubbliche, fino al Soviet supremo, il parlamento federale dell'Urss.

TERRORE STALINIANO

(1934-1939). Spietata repressione di massa che colpì l'Urss nella seconda metà degli anni trenta, ispirata da Stalin e attuata dalla polizia politica. Il predominio politico che Stalin si era costruito negli anni venti consisteva in un primato nell'ambito di una direzione collegiale. Dopo alcuni anni di sanguinose epurazioni, il dittatore georgiano emerse come padrone assoluto dello stato e arbitro delle sue leggi, riducendo a mere funzioni celebrative l'apparato di governo e di partito. L'assassinio di Kirov (dicembre 1934), atto d'inizio del Terrore, permise di ampliare i poteri della polizia politica (Nkvd) e di varare una legislazione d'emergenza che fu il supporto dei grandi processi pubblici contro i vecchi capi bolscevichi. La repressione non risparmiò alcun settore della vita del paese, precipitando la società sovietica in un'atmosfera di delazione e paura. Milioni di persone e intere popolazioni furono deportate, incalcolabile fu il numero delle vittime di questo olocausto sovietico. Nel 1939 Stalin dichiarò conclusa la grande purga. Con Berija tuttavia il Terrore non cessò ma, parzialmente attenuato, si trasformò in metodo permanente di governo. Solo nel 1953 il partito riuscì a riprendere il controllo sulla polizia politica.

Vedi anche Ezovscina.

BOLSCEVICHI

Membri del Partito operaio socialdemocratico russo aderenti alle tesi di Lenin che ottennero la maggioranza al II congresso del partito (1903), contro i menscevichi (bolscevichi significa appunto "maggioritari" in russo). Dopo la rivoluzione del febbraio 1917, questo nucleo di rivoluzionari professionali si staccò definitivamente dai menscevichi. Il Pcus mantenne la qualifica di bolscevico fino al 1952.

LENIN, NIKOLAJ

(Vladimir Il'iec Ul'janov, Simbirsk 1870 - Gor'kij 1924). Politico russo. Uno dei principali pensatori marxisti, fu il promotore e l'indiscusso leader della corrente bolscevica, l'animatore della rivoluzione d'ottobre e il fondatore dello stato sovietico. Formatosi negli ambienti rivoluzionari populisti, venne a contatto con il pensiero marxista frequentando i circoli operai e socialisti di Pietroburgo, entrando presto in polemica con le posizioni dei populisti e rompendo con essi (Che cosa sono gli "amici del popolo" e come lottano contro la socialdemocrazia, 1894). Confinato in Siberia nel 1897 e costretto all'esilio tre anni dopo, fondò a Monaco il giornale "Iskra" (Scintilla) come organo di battaglia politica e ideologica tra le correnti del Partito operaio socialdemocratico russo. Cominciò così una lunga opera di formazione ideologica: Lenin, schierato su posizioni di sinistra sia nella seconda Internazionale che nel proprio partito, si distingueva per la centralità assegnata all'azione dell'avanguardia politica. Questa doveva guidare le masse proletarie alla conquista del potere politico, anche attraverso forzature, criticando l'attendismo delle socialdemocrazie europee. La formazione dei quadri del partito, la necessità di un'analisi rigorosa della fase politica, l'importanza della rottura rivoluzionaria nella presa del potere politico costituivano i suoi punti cardinali di riferimento (Che fare?, 1902). Su queste posizioni egli condusse un'aspra battaglia interna al Partito socialdemocratico russo, dando vita dal 1903 alla frazione bolscevica.

IL PARTITO AVANGUARDIA DELLA CLASSE. Prese forma in quegli anni l'idea leninista del partito come nuova avanguardia della classe operaia: esso doveva essere considerato l'espressione consapevole degli interessi del proletariato industriale e la direzione organizzata delle sue lotte politiche, composto da "rivoluzionari di professione" i cui rapporti erano regolati da una rigida disciplina che subordinava tutti i militanti alle decisioni della maggioranza e che avrebbe assunto il nome di "centralismo democratico". Rientrato in Russia in occasione della rivoluzione del 1905, fu nuovamente costretto all'esilio dal suo fallimento. La sconfitta dell'ipotesi democratica rinsaldò in Lenin la convinzione della necessità di una rottura politica violenta e del ruolo centrale del partito rivoluzionario. La modernizzazione della Russia per lui poteva avvenire solo a opera della classe operaia e della sua avanguardia politica. In questo quadro egli esaltava il ruolo della cultura teorica (cioè il ruolo demiurgico del partito) in contrapposizione sia all'"economicismo" marxista (secondo cui la forza politica deriva automaticamente da quella economica della classe operaia), sia allo "spontaneismo", cioè la subordinazione della lotta politica alla spontaneità delle lotte operaie. Sul piano internazionale Lenin condusse, negli anni precedenti lo scoppio della Prima guerra mondiale, un'aspra battaglia ideologica all'interno della seconda Internazionale, arrivando ad accusarla di tradimento di fronte alla dipendenza che i partiti socialisti europei mostrarono nei confronti dei loro governi allo scoppio della guerra. Contemporaneamente Lenin analizzò quella che considerava una nuova fase dello sviluppo capitalistico, culminante nella politica imperialistica delle grandi potenze e nella guerra. L'imperialismo, fase suprema del capitalismo (come egli lo definì nel 1916), determinava una situazione di progressiva concentrazione monopolistica della produzione, la crisi della libera concorrenza e il predominio del capitale finanziario. Ciò costituiva per Lenin un'ulteriore riprova della non riformabilità del sistema capitalistico, destinato a provocare continue crisi e conflitti, e avvalorava l'ipotesi della necessità di una forzatura politica rivoluzionaria. Il frutto di tutte queste elaborazioni teoriche apparve particolarmente efficace durante la rivoluzione russa del 1917. Lenin, rientrato dall'esilio ginevrino con un vagone ferroviario messogli a disposizione dalle autorità tedesche (e per nulla preoccupato del fatto che costoro, in questo modo, si riproponevano d'avvantaggiarsi militarmente nei confronti della Russia), organizzò e diresse l'insurrezione d'ottobre, imponendola al suo stesso partito. Resosi conto della debolezza dei governi provvisori, delle divisioni e dell'immobilismo di menscevichi e socialrivoluzionari, "costrinse" i bolscevichi (i cui dirigenti, nella quasi totalità, erano contrari all'insurrezione) a forzare militarmente la situazione per raccogliere il malcontento delle masse russe, in particolare di settori operai e dell'esercito che reclamavano la fine della guerra, portando al potere i comunisti che pure erano in minoranza sia nei soviet che nel paese. Attraverso la parola d'ordine dell'insurrezione, tutto il potere ai soviet, Lenin indicava sia una forma di democrazia politica più avanzata rispetto al regime parlamentare borghese, sia uno strumento politico di transizione dal capitalismo al comunismo.

LA DITTATURA DEL PROLETARIATO. Assunta la guida del governo, delineò i tratti fondamentali del futuro stato sovietico rilanciando la marxiana dittatura del proletariato come strumento necessariamente coercitivo per attuare la trasformazione dell'apparato statale ereditato dal regime zarista (Stato e rivoluzione, 1917). Dopo aver fondato la terza Internazionale (o Comintern), negli ultimi anni della sua vita, già molto malato, si misurò con i limiti e le contraddizioni della sua stessa metodologia politica, aggravati e messi in risalto dall'isolamento internazionale e dalle difficoltà economiche dell'Urss. Da un lato creò così i presupposti per l'autoritarismo staliniano e la centralità dell'apparato del partito e, dall'altro, venne emarginato da Stalin che approfittò della malattia (emiplegia) che lo aveva colpito nel 1923 per isolarlo dal resto del partito. Il suo testamento politico, in cui criticava Stalin e metteva in guardia il partito dai pericoli della burocrazia e dell'autoritarismo dell'apparato, non venne reso noto per molti anni. Mentre Lenin diventava da morto un elemento di stabilità del regime attraverso una santificazione che egli stesso non avrebbe voluto, Stalin, nel suo nome, procedeva alla progressiva trasformazione in senso autocratico del partito. Il centro del pensiero di Lenin, e l'eredità più rilevante che egli lasciò al movimento comunista internazionale, fu l'indissolubile nesso tra economia e politica: la politica concentrava in sé tutte le tendenze economiche e, contemporaneamente, doveva controllare l'economia. Inoltre egli elaborò un'interpretazione del marxismo che, da un lato, ne accentuò le valenze di sociologia scientifica (in base a questa lettura Il capitale diventava l'opera fondamentale di Marx) e, dall'altro, ne esaltò la portata filosofica assumendolo come modello interpretativo nuovo e autosufficiente.

G. Polo

KERENSKIJ, ALEKSANDR FEDOROVIC

(Simbirsk 1881 - New York 1970). Politico russo. Laureatosi in legge all'Università di San Pietroburgo si avvicinò alle posizioni dei populisti. Nel 1905 si iscrisse al Partito socialista rivoluzionario e iniziò l'attività forense come difensore di imputati accusati di reati politici. Nel 1912 venne eletto deputato alla Duma. Allo scoppio della Prima guerra mondiale appoggiò l'intervento russo contro gli imperi centrali. Dopo la rivoluzione di febbraio fu vicesegretario del soviet di Pietrogrado e come ministro della Giustizia regolamentò la libertà di stampa e di associazione. Fautore intransigente della prosecuzione della guerra contro la Germania, diventò ministro della Guerra nel maggio del 1917 e in giugno diresse una fallimentare offensiva militare che prese il suo nome. Da luglio allo scoppio della rivoluzione d'ottobre fu primo ministro dell'ultimo governo provvisorio. Fuggito avventurosamente da Pietrogrado durante l'insurrezione bolscevica, dalla Russia bianca diresse le truppe controrivoluzionarie fino al mag gio del 1918. Alla fine della guerra emigrò in Europa occidentale iniziando un'attività editoriale e memorialistica che, sempre su intransigenti posizioni antisovietiche, continuò anche dopo essersi trasferito negli Stati Uniti.

MENSCEVICHI

(1903-1917). Esponenti della corrente minoritaria del Partito operaio socialdemocratico russo, costituitasi nel 1903. Capeggiati da Martov, al congresso di Londra del Posdr (1903) entrarono in contrasto con i bolscevichi sulla questione dell'organizzazione del partito: mentre il gruppo di Lenin voleva un organismo fortemente centralizzato e formato esclusivamente da rivoluzionari professionisti, i menscevichi preferivano un'associazione più larga e libera. La rivoluzione del 1905 evidenziò una fondamentale divergenza fra le due correnti in merito alla strategia rivoluzionaria. In contrasto con lo schema proposto da Lenin, i menscevichi traevano dall'analisi marxiana dello sviluppo sociale e dal riconosciuto ritardo della Russia la conclusione che il carattere della rivoluzione poteva essere soltanto democratico e borghese: la rivoluzione avrebbe dovuto dare il potere alla borghesia in una società capitalistica, all'interno della quale il proletariato sarebbe cresciuto numericamente e politicamente. Dopo la vittoria dei bolscevichi nel 1917, molti esponenti menscevichi emigrarono a Berlino dove fondarono un centro di opposizione antisovietico.

RUSSA, GUERRA CIVILE

(1918-1920). Combattuta tra l'esercito sovietico e le truppe antibolsceviche guidate da ex ufficiali zaristi che tentarono di restaurare l'antico regime dopo la rivoluzione d'ottobre. Truppe cosacche e contadini scontenti per le confische alimentari ordinate dal nuovo governo ebbero l'appoggio diretto delle potenze occidentali, preoccupate di tutelare il pagamento dei debiti contratti dal governo zarista. I "bianchi" potevano inoltre contare sui 40.000 uomini della Legione ceca, un corpo di volontari cecoslovacchi presenti già in precedenza in Russia per combattere contro gli imperi centrali, che si ribellarono all'ordine di smobilitazione del governo sovietico. Nell'autunno del 1919 i "bianchi" giunsero a soli 400 chilometri da Mosca e alle porte di Pietrogrado, mentre l'Ucraina (come gran parte della Russia meridionale) era sotto il controllo di un governo antisovietico. Una controffensiva dell'Armata rossa e misure di centralizzazione del potere politico evitarono la sconfitta dei bolscevichi, ma le sorti della guerra furono decise dall'ostilità contadina per le tendenze restauratrici dei "bianchi" e dalle divisioni interne ai governi occidentali. Nel novembre del 1920 le "truppe bianche", sconfitte, abbandonarono un paese che la guerra civile aveva reso meno vasto e più povero.

TROCKIJ

(Lev Davidovic Bronstein, Janovka 1879 - Città del Messico 1940). Politico russo. Attivo antizarista fin dall'adolescenza fu deportato in Siberia (1899). Nel 1902 riuscì a fuggire in Inghilterra dove divenne collaboratore della rivista marxista "Iskrà" (La scintilla) diretta da Lenin. Al congresso del Partito socialdemocratico russo a Londra nel 1903 si schierò con i menscevichi. Tornato in Russia nel 1905 partecipò alla rivoluzione presiedendo l'effimero soviet di Pietroburgo e fu nuovamente arrestato e deportato in Siberia, da dove riuscì ancora una volta a fuggire, rifugiandosi prima in Europa occidentale, poi negli Usa. Rimpatriato nel 1917, aderì al Partito bolscevico, svolgendo un ruolo di primo piano nella rivoluzione d'ottobre. Dotato di eccezionali qualità di organizzatore, fu nominato commissario del popolo alla Guerra; creò l'Armata rossa, che sotto la sua guida vinse la guerra civile (1918-1921). Ancor prima della morte di Lenin (1924), entrò in contrasto politico e ideologico con Stalin, contro la cui concezione del socialismo in un solo paese sostenne la teoria della rivoluzione permanente, elaborata tempo addietro e resa pubblica nel 1922 nella sua raccolta di saggi 1905. Progressivamente emarginato, dopo la morte di Lenin (1924) peggiorò la sua posizione con la pubblicazione delle Lezioni d'ottobre, tentativo di analisi della storia del partito che offrì ai suoi avversari un ulteriore motivo per attaccarlo, poiché metteva in discussione la pretesa della trojka (Stalin, Kamenev, Zinov'ev) di essere gli autentici eredi del leader scomparso. Nel 1925 i suoi oppositori lo obbligarono ad abbandonare la carica di commissario del popolo. Nel 1926, dopo il passaggio all'opposizione di Kamenev e Zinov'ev, propose al Comitato centrale una piattaforma alternativa alla linea staliniana. Sconfitto, nel 1927 fu espulso dal partito, nel 1928 confinato ad Alma Ata e nel 1929 esiliato. Dall'estero continuò a difendere il vecchio bolscevismo, sostenendo l'avvenuta degenerazione della rivoluzione nel libro La rivoluzione tradita e creando una Quarta internazinale fieramente antistalinista (1938). Condannato a morte in contumacia ai processi di Mosca (1936), dopo lunghe peregrinazioni si stabilì nel 1937 a Città del Messico dove fu assassinato da agenti di Stalin.

A. Verrocchio

I. Deutscher, Il profeta armato; Il profeta disarmato; Il profeta esiliato, Longanesi, Milano 1956-1963; P. Broué, Trotskij, Bollati Boringhieri, Torino 1992.

COLLETTIVIZZAZIONE DELL'AGRICOLTURA IN URSS

(1929). Mezzo scelto dal gruppo dirigente staliniano nel 1929 per risolvere la crisi degli approvvigionamenti cerealicoli sorta negli ultimi anni della Nep. Scopo della collettivizzazione era la creazione di grandi unità produttive nella campagna, al posto della miriade di piccole fattorie contadine, in modo da consentire il controllo diretto dello stato sulla produzione agricola, spezzando la resistenza del mondo rurale alla forsennata politica di industrializzazione forzata dello stalinismo. Preludio alla collettivizzazione furono le "misure straordinarie" imposte da Stalin all'inizio del 1928 per requisire il grano. Il successo ottenuto dalle requisizioni ebbe un ruolo determinante nella decisione, presa nel novembre del 1929 dal Politbjuro, di procedere alla "collettivizzazione totale" delle campagne, che segnò la definitiva sconfitta dell'opposizione di destra (vedi Bucharin). La collettivizzazione forzata venne messa in atto, per ondate successive, tra il 1930 e il 1934. Feroce guerra condotta dallo stato contro i contadini con l'uso di misure coercitive e repressive, la collettivizzazione ebbe costi spaventosi. Nel dicembre 1929 Stalin annunciò la liquidazione dei kulaki come classe. Per milioni di contadini (i kulaki, contadini ricchi, erano invece solo una sparuta minoranza) cominciò una spaventosa odissea. Scacciati dalle loro case, privati di tutti gli averi, furono costretti a entrare nelle fattorie collettive (kolchoz) con miserevoli paghe in natura; i più agiati vennero condannati alla deportazione. Stipati nei carri bestiame, molti morirono di fame e di stenti durante il viaggio. Si calcola che i contadini colpiti dal provvedimento siano stati tra i cinque e i dieci milioni, un terzo dei quali trovò subito la morte. Rivolte endemiche scoppiarono nelle campagne (nel solo 1929 ne vennero soffocate con le armi milletrecento). Terrorizzati, i contadini macellavano il bestiame, con grave danno per il patrimonio zootecnico del paese (nel 1940 era pari a quello del 1916, anno di guerra). Interi villaggi venivano abbandonati: per legare alla terra i contadini, alla fine del 1932 venne ristabilito il sistema dei passaporti interni. La conseguenza più spaventosa della collettivizzazione fu la fame che devastò, nell'inverno 1932-1933, le campagne dell'Ucraina, del Caucaso settentrionale, del Kazachistan e di altre regioni. Le vittime della fame furono, secondo stime ancora approssimative, tra i 4 e i 7,7 milioni. Con la collettivizzazione lo stato riuscì a organizzare l'estorsione del grano, ma non la produzione che, anzi, diminuì fino al 1937. Per far fronte alla situazione, il governo fu costretto, nel 1935, a concedere ai contadini piccoli appezzamenti di terra che, nonostante le tecniche primitive di conduzione agraria, contribuirono in modo sostanziale al sostentamento alimentare del paese (nel 1938, pur occupando solo il 3,9 per cento delle aree coltivate, fornivano il 45 per cento della produzione agricola totale). Condotta in nome della modernità, la collettivizzazione finì per riprodurre, in questo modo, l'arcaismo del mondo rurale tradizionale.

M. Ferretti

STALINISMO

Epoca e regime politico in cui si affermò in Urss la dispotica dittatura di Stalin e l'ideologia a essa connessa. Iniziò alla fine degli anni venti e terminò con la morte del dittatore nel 1953. Fu in questo periodo che si costituirono i tratti fondamentali del sistema sovietico, segnato dall'ispirazione dello stato-partito ad assumere il controllo totale su tutti gli aspetti della vita del paese (politica, economica, sociale e culturale). Frutto di un singolare sovrapporsi di continuità e rotture da una parte con la storia russa prerivoluzionaria e dall'altra con la tradizione rivoluzionaria bolscevica, lo stalinismo generò uno degli stati totalitari più feroci del XX secolo. Le vittime del regime di Stalin si contarono a milioni. Esso sorse quando, di fronte alle difficoltà del decollo industriale, fu abbandonata la Nep e venne imposta al paese la modernizzazione dall'alto. Nel 1929, dopo la sconfitta dell'opposizione di destra di Bucharin, Stalin assunse il pieno controllo del partito e diede avvio alla "grande svolta" che avrebbe dovuto portare alla rapida edificazione dell'economia socialista, regolata dalla pianificazione statale: ebbe inizio la collettivizzazione dell'agricoltura, accompagnata dall'industrializzazione forzata.

LO STATALISMO. Questo programma fu svolto rafforzando a dismisura l'unico strumento che i bolscevichi avevano a disposizione: lo stato. Il partito, che si diffuse con lo stato, cambiò fisionomia: si trasformò da gruppo dirigente politico in classe di amministratori economici. Si assistette, di conseguenza, a un riorientamento del sistema di valori mascherato da un'apparente continuità ideologica. La dittatura autoritaria dai tratti illuministi tracciata da Lenin, che si proponeva, attraverso adeguate politiche economiche e di educazione, di conquistare il consenso di larghi strati sociali al nuovo regime, diminuendo il divario esistente tra lo stato e la società, cedette il posto a una dittatura autocratica, fondata sull'esaltazione dello stato leviatano e sullo schiacciamento totale della società. Anche se non mancarono elementi di continuità tra Lenin e Stalin, questo cambiamento dei fini del potere rappresentò un momento di rottura di primaria importanza. L'intervento massiccio dello stato in tutti i settori fu favorito dal fatto che la società degli anni venti era debolmente strutturata, poiché la rivoluzione e la guerra civile avevano spazzato via quei nuclei di "società civile" che si erano costituiti negli ultimi decenni dello zarismo. Questo spiega, almeno in parte, le ragioni di una mancata resistenza organizzata al regime staliniano, che mosse una vera e propria guerra a tutti gli strati della società. Gli anni trenta furono anni di spaventosi sconvolgimenti sociali. La collettivizzazione e l'industrializzazione forzata frantumarono violentemente il tessuto sociale preesistente. Vennero distrutte identità collettive secolari, mentre la società si atomizzava. La Russia si popolò di nomadi e vagabondi, contadini e operai fuggiti da villaggi e città alla ricerca di condizioni di vita almeno sopportabili. Per far fronte alla crisi sociale permanente vennero rafforzati a dismisura gli apparati repressivi dello stato. Con il ristabilimento dell'odioso sistema zarista dei passaporti interni e della propiska (permesso di residenza dato dalla polizia), nel 1932 i contadini vennero di nuovo legati alla terra e gli operai alle fabbriche, mentre il paese si riempiva di campi di concentramento. Nasceva il Gulag. La mobilità sociale altissima provocò un colossale rimescolamento. Interi strati sociali vennero scaraventati dai vertici al fondo della piramide, mentre altri emergevano, prima di essere a loro volta travolti.

UNA SOCIETÁ GERARCHIZZATA. Il Partito comunista dell'Unione sovietica, partito unico, fu il principale canale di promozione sociale: la fedeltà all'ideologia era la conditio sine qua non per cambiare la propria posizione. Nacque una nuova struttura sociale fortemente gerarchizzata. I contadini, discriminati dalla legislazione, tornarono in pratica alla condizione del servaggio, abolito da Alessandro II nel 1861; gli operai persero tutti i privilegi di cui avevano goduto negli anni venti e vennero posti alla mercé assoluta dei dirigenti industriali, mentre l'allargarsi del ventaglio salariale e la diffusione del cottimo creavano disparità crescenti. L'impegno diretto dello stato nella produzione provocò la crescita a dismisura dell'apparato burocratico. La cristallizzazione del sistema gerarchico portò con sé un ritorno a valori tradizionali (la famiglia, per esempio) destinati a inculcare nelle masse la disciplina, il conformismo e il rispetto per l'autorità. Si costituì una nuova ideologia tesa a recuperare i valori del nazionalismo imperiale russo inserendoli in un contesto dominato dal culto di Stalin. Il disorientamento di interi strati sociali brutalmente sradicati fornì il terreno propizio per la nascita di una sorta di religione statale con i suoi nuovi riti (parate-processioni, idolatria dei capi e delle loro immagini, uso di vocaboli di origine religiosa) che si nutrì, trasfigurandole, delle antiche credenze del mondo contadino: il culto di Stalin, dio-padre-padrone onnipotente, fu accompagnato dalla caccia spietata ai "nemici del popolo", moderna versione della demonologia rurale intrisa di paganesimo, che attribuiva alle "oscure forze del male" la responsabilità di tutte le disgrazie. Nel paese regnava un arbitrio totale.

LO STATO DI POLIZIA. La potente polizia segreta (Nkvd), sottoposta direttamente a Stalin, aveva diritto di vita e di morte sugli abitanti del paese dei soviet. Dopo l'assassinio, probabilmente ordito da Stalin alla fine del 1934, di Kirov, prestigioso dirigente del partito di Leningrado e rappresentante della nuova tecnocrazia che si era creata durante il primo piano quinquennale, la macchina repressiva si volse contro le elite politiche. Iniziava il grande Terrore. Tra il 1936 e il 1938, nei processi di Mosca, venne sterminata la vecchia guardia bolscevica; sotto la scure della polizia politica cadde anche l'Armata rossa, che fu gravemente scompaginata dalle purghe, come dimostrò la facilità dell'avanzata nazista al momento dell'aggressione nel 1941. Alla fine degli anni trenta Stalin era ormai padrone assoluto del paese. Capriccioso despota autocratico, fece distruggere anche lo stesso gruppo dirigente a lui fedele che aveva patrocinato la "grande svolta". Si riprodusse un modello di potere che aveva le sue origini nella Russia antica e che istituzionalizzava la nuova struttura gerarchica della società: l'autocrate creava una elite dirigente priva di una legittimazione autonoma (funzionale o legata alla proprietà) e quindi alle sue assolute dipendenze; questa disponeva, in cambio, dello stesso potere assoluto nei confronti dei suoi sottoposti. Solo con la destalinizzazione degli anni cinquanta e l'istituzionalizzazione dei meccanismi del potere, le nuove elite acquistarono una legittimità propria. Dopo la vittoria contro il nazismo il regime staliniano conobbe un ulteriore inasprimento. Già sul finire del conflitto intere popolazioni, accusate di collaborazionismo, erano state deportate.

LA GUERRA FREDDA. Nel 1946, con l'imposizione del realismo socialista legata al nome di Zdanov, una nuova ondata repressiva si abbatté sul mondo culturale e sulla burocrazia statale, mentre prendeva l'avvio una persecuzione degli ebrei. Solo la morte del tiranno (1953) impedì lo scatenarsi di un nuovo terrore. Nel dopoguerra, con la spartizione del mondo in sfere d'influenza, lo stalinismo fu imposto anche nei paesi dell'Europa orientale. I risultati dello stalinismo furono paradossali. La modernizzazione del paese fece dell'Urss la seconda potenza mondiale, ma gli squilibri strutturali dell'economia (dominio dell'industria pesante, stagnazione dell'agricoltura) ne condannarono lo sviluppo successivo; il perdurare di forme arcaiche di produzione, fondate sull'uso del lavoro coatto (il Gulag, le aziende statali in agricoltura), impedirono il costituirsi di una moderna cultura del lavoro basata sulla valorizzazione della qualità e della produttività. Il dominio del terrore rese la società apatica, distruggendo ogni spirito imprenditoriale; l'acculturazione di massa, avvenuta in condizioni di mancanza totale di libertà, danneggiò gravemente il potenziale intellettuale del paese; le repressioni indiscriminate impedirono il costituirsi di una società articolata, capace di limitare lo strapotere dello stato.

M. Ferretti

M. Lewin, Storia sociale dello stalinismo, Einaudi, Torino 1988; M. Reiman, La nascita dello stalinismo, Editori riuniti, Roma 1980; R. Conquest, Il grande terrore, Garzanti, Milano 1970; R. Tucker, Stalin il rivoluzionario. 1879-1929, Feltrinelli, Milano 1977.

GULAG

Direzione centrale statale dei campi di lavoro dell'Urss. Universo concentrazionario sovietico, vero e proprio "stato nello stato" sotto il diretto controllo della polizia segreta (Nkvd) assunse, durante lo stalinismo, dimensioni enormi. I primi campi (lager) di rieducazione e lavoro furono creati nel 1918; nel 1923, nelle isole di Solovki, venne organizzato il primo campo per prigionieri politici, dove vennero internati ufficiali bianchi, esponenti dell'intelligencija e rappresentanti dei partiti prerivoluzionari. Alla fine degli anni venti, con lo scatenarsi delle repressioni staliniane, il Gulag crebbe a dismisura: tra il 1928 e il 1940 esistevano almeno 162 lager, in cui vennero internati, secondo stime approssimative, tra i 10 e i 20 milioni di prigionieri, di cui molti perirono per via delle drammatiche condizioni di vita e di lavoro. Il Gulag permise lo sfruttamento sistematico della manodopera coatta per l'industrializzazione forzata. Alcune delle maggiori opere di quegli anni vennero realizzate con l'uso del lavoro forzato dei detenuti (canale del mar Bianco, Mosca-Volga; valorizzazione dei giacimenti auriferi della Kolyma; costruzione di ferrovie, strade ed edifici, come l'università di Mosca). La Nkvd aveva fabbriche e persino laboratori di ricerca, dove furono messi a lavorare ingegneri e specialisti arrestati tra il 1928 e il 1931 (A.N. Tupolev, padre dell'aeronautica sovietica, vi disegnò i suoi primi aerei).

KIROV

(Sergej Mironovic Kostrikov, Urzum 1886 - Leningrado 1934). Politico sovietico. Bolscevico dal 1904, si mise in luce nel Caucaso durante la guerra civile. Dal 1921 al 1925 fu il leader del partito azerbaigiano, poi resse la federazione leningradese. Molto popolare, il suo misterioso assassinio fornì a Stalin il pretesto per avviare le purghe.

EZOVSCINA

L'era di Ezov, capo del Nkvd dal 1936 al 1938. Fu il periodo più sanguinoso del Terrore staliniano, in cui ogni forma di opposizione al vertice del Partito comunista e dell'esercito venne annientata dalla poliziadi Ezov. L'intensità e la ramificazione del "terrore" sconvolsero l'intero paese in tutti gli strati della popolazione. Nessuno, tranne Stalin, era al di sopra dei sospetti dei funzionari del Nkvd. Milioni di prigionieri in base a giudizi sommari affrontarono gli orrori dei campi di lavoro siberiani, mentre circa ottocentomila persone furono condannate e uccise con un proiettile alla nuca. La vecchia guardia bolscevica fu eliminata in massa; ugual sorte spettò ai membri dei vari partiti comunisti nazionali rifugiatisi in Urss. In Spagna la polizia di Ezov distrusse i vertici del Poum, il partito filotrozkista catalano, assassinandone il leader Andrés Nin. Alla fine del 1938 Stalin proclamò la fine delle "purghe" e Ezov misteriosamente sparì, seguito dai quadri a lui fedeli del Nkvd. Fu alimentata in tal modo la leggenda dell'ezovscina, un terrore esercitato all'insaputa dei vertici del partito. In realtà le persecuzioni furono funzionali all'affermazione del potere assoluto di Stalin sul partito come sulla polizia politica.

RIVOLUZIONE DEL 1905

Tentativo insurrezionale nella Russia zarista. Il dispotismo assoluto dello zar, minato dalla sconfitta militare nella guerra russo-giapponese, venne messo in crisi da una serie di manifestazioni popolari iniziate a Pietroburgo il 9 gennaio 1905, quando l'esercito aprì il fuoco su un corteo di dimostranti. Ne scaturirono scioperi e rivolte in tutta la Russia, l'ammutinamento dei marinai dell'incrociatore Potëmkin a Odessa e della guarnigione della fortezza di Kronstadt, e insurrezioni a carattere nazionalistico in Polonia e Finlandia. La rivolta popolare fu provocata anche dalla difficile situazione economica interna e un notevole apporto venne dall'azione dei gruppi socialisti che, agendo soprattutto nelle grandi città e tra le masse operaie, tentarono di trasformare la rivolta in rivoluzione socialista: fu in questa occasione che vennero fondati i primi soviet operai che sarebbero poi cresciuti per diventare il luogo privilegiato d'azione dei bolscevichi. Per salvare il proprio potere lo zar promise l'elezione di un parlamento legislativo (Duma) e in ottobre emanò una costituzione. La rivoluzione del 1905 inaugurò un decennio di conflitti politici e sociali, che il regime zarista non riuscì mai a controllare in maniera definitiva, e pose le basi per le rivoluzioni del 1917.

IMPERIALISMO

In generale, tendenza di uno stato o di un popolo ad acquisire il dominio e il controllo politico o economico, diretto oppure indiretto, su un altro stato o su un altro popolo.

DAL COLONIALISMO ALL'IMPERIALISMO. Più specificamente s'intende l'indirizzo tipico degli stati che si trovavano nella fase di grande espansione del capitalismo soprattutto a partire dagli anni ottanta dell'Ottocento. Il termine trae infatti origine dall'assetto "imperiale" dato dal 1877 dalla Gran Bretagna alle relazioni con i possedimenti coloniali, quando la regina Vittoria assunse il titolo di "imperatrice delle Indie". Nel periodo compreso tra l'ultimo ventennio dell'Ottocento e la Prima guerra mondiale, che già i contemporanei definirono "età dell'imperialismo", l'espansione coloniale procedette a un ritmo assai più rapido che nel passato, determinando gli orientamenti delle relazioni diplomatiche e delle alleanze tra gli stati ed esercitando un peso senza precedenti anche nella politica interna dei singoli paesi. Ampi riflessi si ebbero nel mondo della cultura e sull'opinione pubblica, presso le quali le tendenze espansive degli stati alimentarono ideologie nazionaliste xenofobe e razziste che caratterizzarono ampia parte della società europea e ne furono alimentate. La definizione storiograficamente accettata di imperialismo non è quindi da ricondursi solo alla vastità dell'espansione coloniale, ma alle modalità di questo processo e alle sue implicazioni sociali anche all'interno dei paesi imperialisti. Infatti, nel periodo immediatamente precedente all'età dell'imperialismo, le maggiori potenze coloniali (Regno unito, Spagna, Portogallo, Francia, Paesi bassi) non avevano certo interrotto la loro espansione e anzi, tra il 1800 e il 1878, si erano assicurati territori extraeuropei per oltre 17 milioni di km, contro i 22 milioni (un quarto circa della superficie terrestre) che gli stati imperialisti si spartirono dagli anni ottanta al 1914. Il "nuovo" imperialismo fu soprattutto una spartizione del mondo pianificata tra le potenze che, a cominciare dal congresso di Berlino (1884-1885) risolsero tendenzialmente per via diplomatica i conflitti sorgenti dall'espansione coloniale. Gli imperialismi furono comunque profondamente diversi tra loro, oltre che per le direttrici d'espansione, anche per le modalità di acquisizione e di gestione del dominio, il che avrebbe pesantemente influenzato anche tappe e modalità della decolonizzazione nel secondo dopoguerra. L'imperialismo inglese, che si innestava su un vasto dominio coloniale, frutto di un'esperienza secolare, ebbe un'articolazione quasi planetaria. Motivi strategici (il dominio dei mari) spinsero nel corso dell'Ottocento all'acquisizione di una catena di piazzeforti marittime che collegasse i domini britannici: Gibilterra, Malta, Suez, Aden, Città del capo, Singapore, Seychelles, Figi, Falkland e altre ancora. Tra il 1882 e la Prima guerra mondiale la Gran Bretagna assunse il controllo di vasti territori in Africa (Egitto, Sudan, Kenia, Nigeria, Rhodesia, il cono meridionale del continente più altri territori sparsi); incentivò il popolamento nelle colonie d'Australia e Nuova Zelanda (il cui possesso fu rafforzato nella prima metà dell'Ottocento) e nel Sudafrica, completò la sottomissione del subcontinente indiano. Gli inglesi adottarono modelli di gestione coloniale molto articolati: le colonie di popolamento (cioè meta di emigrazione dalla madrepatria) abitate prevalentemente da bianchi (come Canada, Australia, Nuova Zelanda) furono presto avviate verso l'autonomia amministrativa e l'autogoverno, mentre nei domini abitati soprattutto da indigeni si introdussero forme di governo indiretto di tipo autoritario-paternalistico che non sopprimevano gli istituti indigeni, ma li utilizzavano affidandoli direttamente o indirettamente a funzionari inglesi. La Francia non realizzò, invece, grosse colonie di popolamento e si mosse soprattutto per questioni di prestigio, conquistando tra il 1830 e la Prima guerra mondiale la quasi totalità dell'Africa occidentale e il Madagascar e formando nel 1887 l'Unione indocinese (penisola Indocinese). L'amministrazione francese fu caratterizzata da forme di gestione diretta e autoritaria delle colonie. Italia e Germania entrarono nella gara imperialista con un certo ritardo e si mossero soprattutto per ragioni di prestigio. La Germania si orientò, nei tardi anni ottanta, verso l'Africa centrorientale (Camerun, Tanganica). L'Italia si indirizzò verso il cono etiopico dal 1885 e occupò una prima volta la Libia nel 1911-1912; solo durante il fascismo maturò una più decisa politica imperialistica (riconquista della Libia, 1922-1932; Etiopia, 1935-1936; proclamazione dell'impero, 1936), in una fase, però, in cui le relazioni tra le grandi potenze non erano più imperniate sull'accordo per la spartizione colonialista del mondo. Tarda fu anche l'espansione imperialistica del Giappone, che si realizzò a spese della vasta periferia dell'impero cinese (Corea), mentre le antiche potenze coloniali di Spagna e Portogallo restarono alla fine dell'Ottocento spogliate di gran parte del loro impero.

IMPERIALISMO E ANTIMPERIALISMO. Una forma particolare di imperialismo fu quella attuata sin dall'Ottocento dagli Stati Uniti, che all'occupazione dei territori preferirono la "diplomazia del dollaro", vale a dire la creazione di una egemonia nel contempo economica e militare su tutto il continente americano (con l'esclusione del Canada), realizzata attraverso la penetrazione delle grandi società commerciali statunitensi che giunsero a esercitare un pesante controllo, in parte tuttora esistente, su gran parte dell'America latina. Tra le potenze imperialistiche, seppure in posizione in qualche modo "anomala", devono essere compresi anche l'impero russo, che assoggettò nel corso dell'Ottocento numerose popolazioni nomadi dell'Asia orientale e centrale, e il Belgio, che nel 1908 acquisì ufficialmente il Congo, dopo quindici anni di sfruttamento, sotto forma di proprietà privata della corona, delle ricche risorse minerarie di quell'ampia area equatoriale, dove era stato introdotto il lavoro forzato degli indigeni. Nell'individuazione delle cause dell'imperialismo rimangono in buona parte valide le interpretazioni emerse sin dagli inizi del Novecento per opera del liberale inglese John Hobson (e sviluppate più tardi, in un'ottica diversa, da Lenin), che stabilivano un nesso specifico tra sviluppo del capitalismo nelle aree forti ed espansione verso le periferie. L'obiettivo dei paesi imperialisti non era però soltanto la ricerca di nuovi mercati o di nuove aree di investimento (infatti rimase sostanzialmente ridotta l'incidenza dei rapporti economici tra le metropoli e le nuove colonie), quanto piuttosto la volontà di mantenere in condizioni di subordinazione i paesi arretrati per controllare le fonti di materie prime. Ugualmente importanti furono, inoltre, le necessità strategico-militari delle potenze, e non ultima la volontà di deviare le tensioni sociali verso una forzata azione espansionistica. A partire dagli anni sessanta del XX secolo il termine imperialismo divenne sinonimo di un più generico espansionismo egemonico per qualificare la politica aggressiva, sia sul piano economico che militare, delle grandi potenze nei riguardi particolarmente dei paesi del terzo mondo. Il termine assunse, così, una nuova valenza in opposizione al suo contrario, l'antimperialismo, denominazione attribuita alla politica caratteristica dei movimenti di liberazione nazionale nel periodo della lunga decolonizzazione del secondo dopoguerra in Asia, o riferita ai fermenti rivoluzionari dell'America latina contro governi nazionali vittime della rediviva "diplomazia del dollaro" statunitense. Tali nuovi significati furono quindi fatti propri e diffusi dai movimenti pacifisti americani degli anni sessanta in opposizione alla guerra del Vietnam e quindi anche dalle sinistre europee, poco propense peraltro a definire imperialistiche analoghe operazioni militari compiute dall'Urss (invasione dell'Afghanistan nel 1979-1989, ma anche dell'Ungheria nel 1956 e dalla Cecoslovacchia nel 1968). Nei vari contesti dello scacchiere internazionale a cui è riferito, il concetto di imperialismo finì quindi per assumere un significato estremamente vago e politicamente orientato: movimenti di liberazione, regimi e anche organizzazioni terroristiche di impronta nazionalistica, o marxista, o più genericamente populista, fecero della lotta a un imperialismo genericamente definito la bandiera del proprio schieramento antistatunitense e la chiave di volta per ottenere l'appoggio dell'Unione sovietica. Il dissolvimento dell'Urss, principale fautrice e finanziatrice dell'antimperialismo in funzione anti Usa, potrebbe preludere a ulteriori modificazioni di senso della diade imperialismo/antiperialismo; per esempio già le invasioni dell'isola di Grenada (1983) e di Panama (1989) a opera delle truppe statunitensi non diedero luogo da parte sovietica a significative contromisure alla politica imperialistica degli Usa, né nei paesi occidentali si sviluppò una importante ondata di protesta antimperialistica. La nuova fase internazionale rende invece prevedibile il recupero del significato di imperialismo come sopraffazione culturale, prima ancora che economica, di culture più di altre lontane dai modelli di vita dei paesi a capitalismo avanzato; in questo senso è da considerarsi l'attacco "antimperialistico" contro la cultura occidentale nel suo complesso lanciato dall'Iran a partire dalla rivoluzione islamica del 1979, e fatto proprio da ampi settori dell'integralismo musulmano mediorientale e nordafricano.

M. Soresina

G. Carocci, L'età dell'imperialismo, (1870-1918), Il Mulino, Bologna 1979; G. De Bosschère, I due versanti della storia. 1° Storia della colonizzazione, 2° Storia della decolonizzazione, Feltrinelli, Milano 1972-1973; T. Kemp, Teorie dell'imperialismo. Da Marx a oggi, Einaudi, Torino 1969; V.G. Kiernan, Eserciti e imperi. La dimensione militare dell'imperialismo europeo. 1815-1960, Il Mulino, Bologna 1985; W.J. Mommsen, L'età dell'imperialismo, (Storia universale Feltrinelli, vol. 28), Feltrinelli, Milano 1970.

DITTATURA DEL PROLETARIATO

Regime politico teorizzato da Marx e ripreso da Lenin, il quale affermò come necessaria, nella fase di transizione dal capitalismo al socialismo, la presa del potere politico da parte delle organizzazioni operaie per distruggere gli apparati statali della borghesia. Stalin affermò che essa era stata realizzata in Urss accentuandovi il ruolo dirigente del Partito comunista.

MARTOV

(Julij Osipovic Cederbaum, Costantinopoli 1873 - Schönberg 1923). Politico russo. Tra i primi esponenti della socialdemocrazia russa, al congresso di Londra (1903) entrò in contrasto con la posizione sostenuta da Lenin, divenendo fondatore e leader della corrente dei menscevichi. Emigrato a Berlino nel 1921 in seguito alla vittoria dei bolscevichi pubblicò una Storia della socialdemocrazia russa (1923).

SOCIALISMO

Ampio complesso di ideologie e orientamenti politici.

DALL'UTOPIA ALL'ORGANIZZAZIONE. Dal 1830 il termine fu utilizzato per indicare le idee di gruppi che volevano un nuovo ordine basato su una concezione economica e sociale dei diritti dell'uomo. I gruppi principali facevano capo a Saint-Simon e Fourier in Francia e a Owen in Inghilterra. Definiti da L.A. Blanqui e da K. Marx socialisti utopisti, essi auspicavano una regolamentazione collettiva della vita sociale in base a princìpi cooperativi nonché lo sviluppo della produzione e la distribuzione della ricchezza attraverso fattori socializzanti nell'educazione dei cittadini. Nessuno di essi prevedeva che questa società di produttori potesse nascere attraverso il conflitto tra le classi; questo fattore era stato invece individuato da Babeuf durante la rivoluzione francese. A lui si ispiravano club e società democratiche rivoluzionarie in Francia e in Inghilterra agli inizi dell'Ottocento. Attorno al 1840 emerse l'uso del termine "comunista": in Francia esso derivava da "comune" come unità di autogoverno locale e più tardi è utilizzato per indicare le idee di Etienne Cabet sull'uso comune dei beni e sulla proprietà collettiva. In questo senso entrò nel nome della Lega dei comunisti (1847) e nel Manifesto del partito comunista (1848) di Marx ed Engels. La repressione delle rivoluzioni europee del 1848 costrinse alla clandestinità o all'esilio gli esponenti delle correnti rivoluzionarie e della massima parte delle organizzazioni sindacali. Solo in Gran Bretagna si svilupparono le Trade Unions, benché limitate agli operai qualificati; le cooperative, inizialmente ispirate da R. Owen e dai "pionieri di Rochdale", abbandonarono ogni legame col socialismo e assunsero dovunque caratteri di collaborazione di classe. Da questa stasi del socialismo europeo si distaccò la Russia ove, dopo la morte di Nicola I (1855), emersero le personalità di A. Herzen, che per primo si propose di elaborare idee di eguaglianza socialista in modo aderente alle condizioni della società russa, di N.G. Cernysevskij e di P.L. Lavrov, considerato l'ispiratore del populismo russo. La ripresa del socialismo europeo dopo il 1860 fu dovuta all'opera di Ferdinand Lassalle in Germania (che promosse l'Associazione generale degli operai tedeschi) e dalla fondazione dell'Associazione internazionale dei lavoratori (prima Internazionale, Londra 1864), sorta come organismo di collegamento tra gli operai inglesi e francesi ed entrata in crisi con la repressione della Comune di Parigi e quindi scioltasi a Filadelfia nel 1876 dopo la decisione del congresso dell'Aia (1872) di trasferirne la sede negli Usa. Il paese decisivo per l'affermazione della versione del socialismo di Marx ed Engels fu la Germania, il cui Partito socialdemocratico (1875), perseguitato da Bismarck fino al 1890, costituì da allora fino alla Prima guerra mondiale il punto di riferimento per i socialisti europei grazie alla sua organizzazione e all'intensità del dibattito teorico. Nell'ultimo quarto dell'Ottocento si diffusero i partiti socialisti di ispirazione latamente marxista. In Italia, l'egemonia di Mazzini nel movimento democratico fu scalzata dagli anarchici, ma l'influenza bakuniniana declinò di fronte agli insuccessi degli anni settanta e lasciò posto a gruppi che si indirizzarono verso la creazione di un Partito socialista (1892). Forte fu l'ascendente anarchico in Spagna, ma l'organizzazione fu travolta nella repressione delle insurrezioni dei primi anni settanta e il movimento fu costretto alla clandestinità; nel 1879 nacque il Partito socialdemocratico spagnolo. Nel 1882 fu fondato il Parti ouvrier di J. Guesde in Francia; nel 1883 la Federazione socialdemocratica di H.M. Hyndamn in Gran Bretagna (e negli anni seguenti la Società fabiana e l'Independent Labour Party); l'Emancipazione del lavoro (embrione del partito socialdemocratico) di G.V. Plechanov e P.B. Aksel'rod nacque in Russia nel 1883; partiti socialdemocratici si formarono in Norvegia (1887), in Svizzera (1888), in Svezia e in Olanda (1889) e infine, nel 1892, in Polonia e Finlandia. Negli Stati Uniti l'American Socialist Party (1901), in forte polemica con il Socialist Labor Party, ebbe una particolare fortuna nel primo decennio del XX secolo ma subì successivamente un declino che impedì la rinascita di un movimento marxista di massa negli Usa. La dottrina cui si ispiravano questi partiti, pur variamente intesa nei diversi contesti nazionali, si indirizzò come fine ultimo alla trasformazione della proprietà privata in proprietà sociale e individuava nell'azione politica dei lavoratori lo strumento principale della lotta per questo obiettivo (programma di Erfurt). Nel 1890 fu fondata la seconda Internazionale come libera federazione di partiti nazionali, dotata di scarso potere per condizionare gli associati, ma nel 1914 il conflitto internazionale sconfisse la mobilitazione pacifista e lo scoppio della Prima guerra mondiale provocò la dissoluzione dell'Internazionale.

LA CONTRAPPOSIZIONE TRA SOCIALDEMOCRAZIA E COMUNISMO. La rivoluzione d'ottobre del 1917 in Russia aprì un nuovo periodo anche nella storia del socialismo. La dottrina bolscevica era incompatibile col socialismo parlamentare elaborato dai partiti socialdemocratici e con i princìpi ispiratori di alcuni dei movimenti rivoluzionari esplosi in Europa nell'immediato dopoguerra. In Russia il socialismo, da fase di transizione, divenne dopo la morte di Lenin una forma di stato caratterizzata dallo svuotamento delle iniziali istanze di democrazia. A tutela della loro egemonia sui partiti che li presero a modello i bolscevichi promossero la fondazione della terza Internazionale che doveva guidare i partiti nati dalle scissioni dei vari socialismi nazionali. I decenni tra le due guerre mondiali furono dunque dominati nel movimento operaio di ispirazione socialista dalla contrapposizione tra la componente socialdemocratica e quella comunista, ispirata alla teoria del socialismo in un solo paese; il contrasto fu interrotto dalle proposte di Fronte popolare del VII congresso dell'Internazionale. Nell'epoca dominata dai fascismi il prestigio della Russia e del suo capo, Stalin, fu molto forte e condizionante, in particolare nei paesi dell'Europa orientale e balcanica. Al termine della Seconda guerra mondiale, dissoltasi la grande alleanza antifascista a livello internazionale, il conflitto tra socialisti e comunisti si inserì nella contesa fra stati. I partiti comunisti seguirono in linea generale una stretta ortodossia rispetto a Mosca almeno fino al 1956, dopo la morte di Stalin e l'invasione sovietica dell'Ungheria. Solo con gli anni sessanta, dopo la morte di P. Togliatti (1964), il Partito comunista italiano enucleò una sua linea di crescente indipendenza, formalizzata nei primi anni settanta da E. Berlinguer. Nei paesi dell'Europa orientale i tentativi di rinnovamento furono duramente repressi sia a Praga che in Polonia. I partiti socialdemocratici in alcuni governi dei paesi occidentali si fecero i promotori di una politica di nazionalizzazioni, nel quadro di un'economia mista, tesa ad assicurare la redistribuzione del reddito e forme di assistenza sociale (vedi welfare state). Nei paesi del Terzo mondo la diffusione delle ideologie socialiste coincise con la nascita dei movimenti di indipendenza nazionale e specialmente nel secondo dopoguerra, quando l'adesione ideologica comportò l'appoggio politico-militare dell'Urss, furono numerosi i movimenti nazionali che assunsero una coloritura socialista, soprattutto nei paesi africani. Nell'estremo Oriente, viceversa, il movimento socialista fu condizionato politicamente e ideologicamente dal movimento comunista guidato da Mao Zedong, la cui ideologia agli inizi degli anni sessanta ambì a presentarsi come una concezione alternativa sia al movimento operaio occidentale sia al movimento comunista d'osservanza sovietica. Dalla metà degli anni ottanta la crisi economica e sociale dell'Urss e dei paesi dell'est europeo e il crollo del sistema di potere interno e internazionale sembrano aver chiuso con un fallimento completo la storia di quello che era stato definito il "socialismo reale".

L. Ganapini

G.M. Bravo, Storia del socialismo 1789-1848. Il pensiero socialista prima di Marx, Editori riuniti, Roma 1971; G.D.H. Cole, Storia del pensiero socialista, Laterza, Bari 1967-1968; A. Salsano, Antologia del pensiero socialista, Laterza, Bari 1979-1982.

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